“Il medico può seppellire i propri errori, ma un architetto può soltanto suggerire ai propri clienti di piantare dei rampicanti.” Frank Lloyd Wright
Molto spesso i nostri clienti ci chiedono di ristrutturare edifici esistenti, quasi sempre si tratta di edifici nati durante le espansioni edilizie del secondo dopoguerra; quindi, edifici nati per soddisfare l’esigenza primaria dell’abitare, o se vogliamo semplificare: il dare un tetto ad una famiglia.
Questi edifici ad oggi rappresentano la maggior parte del tessuto costruito esistente: ed è proprio su questo tessuto che siamo chiamati ad intervenire. Non si tratta quindi di un territorio vergine dove inserire un nuovo edificio, ma si tratta di un tessuto già profondamente antropizzato e dall’aspetto estetico ben caratterizzato, anche se dai caratteri talvolta discutibili. Il ruolo del progettista è quindi un ruolo chiave per inserire il progetto all’interno dell’ambiente che ci circonda.
Intervenire su questa situazione di partenza pone, quindi, una profonda questione legata ai caratteri costruttivi dell’architettura: infatti esistono molteplici approcci come la radicale sostituzione edilizia, oppure atteggiamenti gradualmente più “soffici” nei confronti dell’esistente fino a interventi di semplice maquillage estetico.
Ma, quale che sia l’atteggiamento del professionista, rimane il contesto nel quale si interviene e proprio su questo aspetto vorrei porre l’accento: sul ruolo chiave del progettista.
Partiamo da un assioma quasi matematico: un edificio, benché isolato, comunque si confronta con il territorio, sia esso un territorio agricolo, boschivo, di periferia o urbano. Di conseguenza mi piace ragionare mantenendo un atteggiamento costante confrontandomi con il contesto cercando di appagare le moderne esigenze dell’abitare con il contesto e con l’esistente, la diretta conseguenza di questo mio atteggiamento è la progettazione di vuoti e pieni spesso nati dal riutilizzo dell’esistente, luoghi che accompagno gradualmente verso il futuro, cercando di inserirli nel contesto evitando gli “urti”.
Non saprei dire quale possa essere l’atteggiamento migliore, poiché va sempre calibrato di volta in volta e non è mai uguale a se stesso e proprio perchè ogni edificio non sia un’isola ritengo sia sempre necessaria dell’attenzione verso il contesto.