IL RUOLO DEL PROGETTISTA

Villa

“Il medico può seppellire i propri errori, ma un architetto può soltanto suggerire ai propri clienti di piantare dei rampicanti.” Frank Lloyd Wright

Molto spesso i nostri clienti ci chiedono di ristrutturare edifici esistenti, quasi sempre si tratta di edifici nati durante le espansioni edilizie del secondo dopoguerra; quindi, edifici nati per soddisfare l’esigenza primaria dell’abitare, o se vogliamo semplificare: il dare un tetto ad una famiglia.

Questi edifici ad oggi rappresentano la maggior parte del tessuto costruito esistente: ed è proprio su questo tessuto che siamo chiamati ad intervenire. Non si tratta quindi di un territorio vergine dove inserire un nuovo edificio, ma si tratta di un tessuto già profondamente antropizzato e dall’aspetto estetico ben caratterizzato, anche se dai caratteri talvolta discutibili. Il ruolo del progettista è quindi un ruolo chiave per inserire il progetto all’interno dell’ambiente che ci circonda.

Intervenire su questa situazione di partenza pone, quindi, una profonda questione legata ai caratteri costruttivi dell’architettura: infatti esistono molteplici approcci come la radicale sostituzione edilizia, oppure atteggiamenti gradualmente più “soffici” nei confronti dell’esistente fino a interventi di semplice maquillage estetico.

Ma, quale che sia l’atteggiamento del professionista, rimane il contesto nel quale si interviene e proprio su questo aspetto vorrei porre l’accento: sul ruolo chiave del progettista.

Partiamo da un assioma quasi matematico: un edificio, benché isolato, comunque si confronta con il territorio, sia esso un territorio agricolo, boschivo, di periferia o urbano. Di conseguenza mi piace ragionare mantenendo un atteggiamento costante confrontandomi con il contesto cercando di appagare le moderne esigenze dell’abitare con il contesto e con l’esistente, la diretta conseguenza di questo mio atteggiamento è la progettazione di vuoti e pieni spesso nati dal riutilizzo dell’esistente, luoghi che accompagno gradualmente verso il futuro, cercando di inserirli nel contesto evitando gli “urti”.

Non saprei dire quale possa essere l’atteggiamento migliore, poiché va sempre calibrato di volta in volta e non è mai uguale a se stesso e proprio perchè ogni edificio non sia un’isola ritengo sia sempre necessaria dell’attenzione verso il contesto.

NUOVO VALORE PER IL CENTRO STORICO DI IVREA

Lavori di facciata
La facciata principale che affaccia sulla stretta via Varmondo: ben evidenti le cornici e la traberazione in alto.

Esiste un posto ad Ivrea dove il tempo sembra fermarsi; in verità questa magia avviene in molti centri storici d’Italia. Credo che gli eporediesi, così si chiamano gli abitanti di Ivrea, che conservano l’etimo di matrice latina “Eporedia”, pensino un po’ la stessa cosa: la città ha un rinnovato tassello di bellezza da aggiungere al suo bel centro. Non è tuttavia scontato giungere ad un esito di restauro così misurato ed equilibrato rispetto al suo contesto.
Il restauro architettonico ben condotto dovrebbe proprio essere così: rapportarsi al luogo circostante con rispetto e naturalezza.
La facciata intonacata dell’ex Seminario minore, tra Via San Arborio Varmondo, e Via Maria Antonia Verna, a pochi passi dal Duomo, è stata restituita, completamente restaurata, alla cittadinanza nell’autunno del 2021.
L’edificio di metà Ottocento, voluto dal Vescovo di Ivrea Luigi Paolo Pochettini e poi terminato dagli eredi nel 1838, occupa quasi un intero isolato; è contraddistinto da lesene, sagome, cornici, decorazioni alle finestre, tipiche per quell’epoca eclettica. Il progetto di restauro e ampliamento fu condotto dall’architetto torinese Gaetano Bertolotti, che nel 1853 si occupò, poi, della
nuova facciata del Duomo.
Per la costruzione del complesso fu utilizzato materiale di spoglio di edifici più antichi, sempre provenienti dall’area del centro storico.
La particolarità del cantiere è stata l’impiego dell’edilizia acrobatica, dal momento che, per ragioni logistiche e urbanistiche, non era possibile chiudere la via e posizionare un ponteggio sulla strada di accesso all’unico parcheggio della Città Alta di Ivrea.
In cantiere sono state restaurate tutte le finestre con l’addetto appeso in corda, assicurata nella parte alta del tetto. E’ stata una novità anche per l’impresa acrobatica che ha potuto avere il riscontro della Soprintendenza ai Beni Architettonici di zona.
Le superfici di facciata, molto ampie, versavano in stato di degrado ed hanno richiesto un intervento di risarcimento materico, a causa delle lacune diffuse.
Durante lo studio preliminare al restauro è stata effettuata una analisi di laboratorio per comprendere e conoscere l’aspetto chimico dei materiali originali impiegati nel manufatto architettonico. Inoltre lo studio è stato corredato da un approfondito progetto di ricostruzione di tutti i disegni di facciata, sia in rilievo che in sfondato e un abaco delle tinte.
Questa ricerca preliminare ha consentito di decidere e scegliere quale fosse il materiale più adatto e compatibile per l’uso, in riferimento a quello specifico edificio; infatti nel caso del restauro architettonico è sempre opportuno effettuare il progetto con una attenta valutazione caso per caso, pur tenendo conto di linee guida di carattere generale.
Per l’architetto Silvio Gallina è stata una prova importante lavorare su un edificio di questo pregio, per il valore storico e artistico.
Quando vi recherete in visita ad Ivrea non dimenticate di ammirare il restauro della facciata dell’ex Seminario! (Maria Vittoria Giacomini)

Gli operai al lavoro in sicurezza anche senza ponteggio

A PROPOSITO DI TERMOCAMERA

La termocamera è un dispositivo di rilevazione del calore senza contatto. Inquadrando l’oggetto o la porzione di oggetto di cui vogliamo conoscere la temperatura nel display, ci verrà restituita un’immagine simile a questa. 

La fotografia soprastante appartiene alla documentazione di un sopralluogo effettuato dall’Architetto Silvio Gallina. Per verificare che fosse necessario un miglioramento termo-elettrico dell’edificio per cui il cliente aveva chiesto una ristrutturazione, lo Studio Archifor si è servito della termocamera. 

Questo strumento funziona attraverso la radiazione infrarossa – invisibile all’occhio umano – emessa dagli oggetti e convertita in segnale elettrico per la creazione dell’immagine termica. Tale processo prende il nome di imaging termico. Gli oggetti più caldi vengono mostrati in una tonalità che varia dal giallo al rosso, mentre ai più freddi appartiene lo spettro cromatico dal verde al blu.  

Ma come avviene? 

I corpi, animati o inanimati, emettono una luce infrarossa – anche detta radiazione – , che attraverso le lenti termiche della termocamera viene focalizzata dai rivelatori. Attraverso il processore dello strumento, il termogramma – ossia il modello composto dalle “informazioni” raccolte sulle radiazioni infrarosse emesse dall’oggetto in esame – viene convertito in segnali elettrici che creano l’immagine termica che ci viene restituita dalla telecamera. 

Le fotocamere termiche possono essere radiometriche o non radiometriche. Le prime permettono di visualizzare la temperatura di ogni pixel dell’immagine, essendo più precise.

Le termocamere vengono ad oggi utilizzate per diversi scopi, principalmente di sicurezza su cantieri ed impianti. Anche nell’architettura ricoprono un ruolo interessante quando si tratta, di sopralluoghi per valutare l’efficienza termica degli edifici, come visto.

Lo Studio Archifor ne ha acquistata una proprio al fine di verificare le differenze termiche tra le diverse zone degli edifici presi in esame così da individuare i ponti termici – zone critiche in cui si verificano dispersioni di calore. 

Si tratta di uno strumento utile anche per valutare l’efficienza del cappotto termico. L’architetto Silvio Gallina spiega che se l’immagine della facciata della casa ci appare come costituita di tante “piastrelle” distinguibili significa che i lavori non sono stati svolti correttamente, poiché il colore delle zone dovrebbe essere uniforme. In seguito ad un efficientamento termico, l’edificio si presenta nell’immagine restituita dalla termocamera di un colore omogeneo, senza differenze, perché isolato. Con serramenti datati invece, è facile che intorno alle finestre o alle porte si visualizzino zone più calde o “baffi” di colori tendenti al rosso: si tratta di calore disperso. 

DUE CHIACCHIERE SULLA VENTILAZIONE MECCANICA CONTROLLATA

Lavori per la ventilazione meccanica controllata

La Ventilazione Meccanica Controllata (o VMC) è un sistema per il ricambio continuo dell’aria all’interno di un edificio. 

Ne esistono diversi modelli, ma il funzionamento standard dell’impiantorimane il medesimo. Esso consiste nell’estrazione dell’aria esausta dagli ambienti interni e nella sua sostituzione con aria proveniente dall’esterno, che passa attraverso appositi filtri prima di essere immessa. Si tratta di sistemi di filtraggio che rendono l’aria pulita. Ciò prevede un vantaggio di salubrità rispetto al classico modo in cui siamo abituati ad arieggiare gli ambienti attraverso l’apertura delle finestre.

Abbiamo chiesto ad un cliente di Archifor a cui è stata proposta questa soluzione cosa ne pensasse. Stefano è un medico e di seguito riportiamo la sua intervista. 

Lei è un cliente dello Studio Archifor? Per cosa?

Sì, mi sono rivolto agli architetti Sara e Silvio per una ristrutturazione importante. Con la mia famiglia ho acquistato una casa indipendente in campagna. Si tratta di un immobile di ampia metratura risalente alla fine degli anni ‘70. Ci sono tante migliorie da attuare. 

Qual è stata la proposta degli architetti? 

Al di là delle modifiche architettoniche alla struttura dell’edificio, Silvio e Sara ci hanno presentato un progetto che tenesse conto anche dell’aspetto termo-energetico dell’abitazione. Trattandosi di una costruzione ormai datata è necessario un intervento di ottimizzazione anche in questo senso. Grazie al Superbonus 110%, intendiamo passare dalla classe energetica F ad un edificio a basso impatto ambientale. Questo sarà reso possibile da interventi come il cappotto, l’isolamento del tetto, la sostituzione dei serramenti e via dicendo. 

Contestualmente a questo, Archifor ha suggerito un impiato di VMC (Ventilazione Meccanica Controllata).

Esattamente. Inizialmente, per altro, ne ero poco convinto.

Come mai?

Abitando in città, siamo sempre stati abituati a tenere le finestre chiuse per via dell’inquinamento atmosferico ed acustico. Trasferendoci in compagna, non vedo l’ora di poter “arieggiare” la casa. Come tutti, l’immagine che avevo in testa era quella delle finestre spalancate. Essendo poco informato, alla VMC associavo proprio l’idea opposta: finestre chiuse. Non mi piaceva. Inoltre aleggiava dentro me il falso mito del rumore, che temevo sarebbe stato perenne in casa proprio per via dell’impianto. 

Ma poi…

Fidandomi di Silvio e Sara e vista la loro convinzione nel propormi questa soluzione ho deciso di informarmi. L’ho fatto grazie ad internet, ad un libro sul concetto di casa-clima, ad amici esperti e parenti che possedevano già lo stesso tipo di impianto. La risposta che ho ottenuto è stata univoca, i miei dubbi parevano quasi fuori luogo. Tutti erano entusiasti della Ventilazione Meccanica Controllata, ne parlavano quasi fosse una necessità. 

E così ha iniziato a cambiare idea. In che modo?

Sono un operatore sanitario, un allergolo. Lavoro nel reparto malattie respiratorie, ho una sensibilità affinata a proposito di questi aspetti. È risaputo che gli allergeni, le muffe e gli inquinanti possono avere un impatto negativo sulla corretta respirazione. Non cosideriamo mai la nostra abitazione come un posto in cui potremmo essere in pericolo, nel quale dobbiamo difenderci da qualcosa. Siamo abituati a pensare che il male sia fuori. Invece, ho fatto un esperimento grazie ad Archifor. Mi hanno prestato un dispositivo per misurare la presenza di No2 e VOC nell’aria, rispettivamente il gas diossido di azoto e le particelle organiche volatili, responabili entrambi dell’inquianmento dell’aria. Nella mia abitazione avevo registrato valori fuori scala. Avendo per altro bambini piccoli la cosa mi ha davvero spinto a riconsiderare le mie convinzioni. La chiave di volta per me è stata l’informazione, il sapere. E così mi sono convinto anche io del valore della Ventilazione Meccanica Controllata.

E i dubbi che aveva su finestre aperte e rumore? 

La ventilazione meccanica controllata assicura un continuo ricambio dell’aria con conseguente diminuzione degli allergeni, grazie ai filtri in entrata. Ciò non impedisce l’apertura delle finestre, anche se ovviamente si adotterà qualche accortezza in merito. Mi è stato garantito da Archifor che la zona giorno della casa sarà studiata per l’ottimizzazione della ventilazione. Inoltre, chi l’ha provata mi ha assicurato che l’aria in casa è così pulita da avere la percezione di benessere senza sentire la necessità di “arieggiare”. Per quanto riguarda il rumore, Silvio mi ha mostrato lo stesso sistema nella sua abitazione. Ammetto che, malgrado i miei pregiudizi, non ho riscontrato alcun rumore fastidioso. 

Dal punto di vista medico, perché è raccomandabile? 

Pensiamo all’aumentare delle patologie allergico-respiratorie sul nostro territorio nazionale o, più in generale, nel mondo occidentale. Poter respirare almeno in casa aria pulita da appositi filtri fa sicuramente bene a tutti i tipi di polmoni. In particolar modo a quelli compromessi gravemente o meno, o a chi ha malattie particolari – ma non così rare – come l’asma brionchiale. Il benessere respiratorio ne giova. 

La consiglierebbe, quindi?

Decisamente sì, con cognizione di causa. Inoltre ci tengo a dire una cosa importante. Probabilmente al momento la Ventilazione Meccanica Controllata è un privilegio. Malgrado non abbia costi proibitivi, non è detto che tutti possano permettersi questo sistema. A tal proposito però, mi sono imbattuto in linee guida della World Health Organization risalenti al 2009 che parlavano già allora dell’importanza della ventilazione naturale o meccanica che sia. è importante che arrivi questo messaggio. Chi ha muffe in casa o un grande tasso di umidità e magari soffre di asma deve sapere quanto è importante questa operazione. Come dicevo infatti, è giusto diffondere consapevolezza ed educare a buone abitudini. Il mondo è lontano dall’idea che la casa possa essere nociva. Si pensa sempre che il pericolo arrivi da fuori, ma considerando tutti gli inquinanti che abbiamo nel nostro ambiente (come le stufe a biomassa) va riconosciuto che non sia così. Da medico e da persona informata ritengo il sistema di ventilazione meccanica controllata un buon alleato per la nostra fortuna respiratoria. Lo consiglio.

LEZIONI DI INGEGNO IN CANTIERE

Lo Studio Archifor aveva ideato un progetto – di cui abbiamo parlato qui –  non privo di particolarità e ingegni tecnici, dato il massiccio intervento da apportare all’edificio. Uno dei collaboratori tecnici, che al tempo lavorava anche come assistente nel corso di Architettura presso il Politecnico di Torino, propose quindi ad Archifor la possibilità di portare alcuni studenti ad osservare i lavori sul posto. 

Risolti i problemi burocratici di una tale iniziativa, gli architetti Silvio e Sara accettarono di buon grado. Il cantiere ricevette allora la visita di una trentina di persone, tra studenti e professori, per uno studio sul campo in totale sicurezza. Una volta terminato il tour fu proprio uno dei docenti ad incalzare il team di Archifor, avendo notato il rostro in pietra sulla sinistra dell’edificio (in figura in basso a sinistra). Si trattava, secondo il professore, di un terribile ponte termico, assai problematico per il cappotto – che in quel punto era stato interrotto. 

La committenza aveva richiesto che il blocco venisse mantenuto per salvaguardare la Madonnina al suo interno (in figura in basso a destra). Silvio mostrò a studenti e professori che conoscendo i propri nemici è possibile vincerli. All’interno dell’edificio era infatti stato installato un contro-cappotto in corrispondenza del rostro, dalla superficie di 1x1m, per correggere il difetto. Seguì un applauso. Il docente chiese inoltre a Silvio qualche dettaglio costruttivo da poter inserire in una sua pubblicazione accademica. 

Il rostro in pietra
Dall'immagine si può scorgere la Madonnina che la committenza voleva mantenere internamente al rostro

A tutto ciò seguì una pubblicazione della Rockwool, azienda leader nella creazione di lana di roccia, sul vecchio sito, purtroppo non più esistente, “A-Class Bureau”. 

Il lavoro descritto ricevette tali riconoscimenti perché meritevole di approfondite osservazioni, viste le notevoli sfide che presentava lo stato originario dell’edificio e l’ottimo risultato ottenuto. 

Archifor si riconferma anche grazie al progetto in questione uno Studio di professionisti capaci ed esperti in forma e funzione.

© COPYRIGHT Noemi Cornalba

MISSIONE NZEB

La casa a lavori terminati

Questo interessante lavoro risalente al 2012 vede protagonista della ristrutturazione una modesta abitazione di periferia. 

Nel dopoguerra nel nostro paese vennero innalzati molti edifici per soddisfare le esigenze abitative del tempo: vi era la necessità di costruire tetti e case relativamente di fretta, a discapito della qualità dei materiali utilizzati. L’obiettivo era creare nuove aree residenziali con una spesa modesta. L’importanza, al tempo, venne data allo spazio e non alla funzionalità degli edifici. 

I proprietari della villetta in questione si rivolsero ad Archifor richiedendo il miglioramento delle condizioni termiche dell’abitazione e l’ampliamento in verticale dell’edificio. Lamentavano infatti di esagerate spese per il riscaldamento e avevano la necessità di creare spazio per il figlio con una nuova famiglia. L’intento era ricavare due appartamenti interni all’abitazione.

Un tale progetto era possibile ma non esente da vincoli esterni. La villetta era infatti stretta tra altri edifici, e lateralmente non si aveva un gran margine di lavoro. Il nuovo tetto venne fatto poggiare sul vecchio cornicione per la costruzione di un nuovo piano abitativo. Come si nota, la forma particolare dell’edificio concluso pare fare da eco alla famosa casa capriata. 

Per quanto riguarda invece l’efficientamento termico dell’abitazione,  la sfida era raggiungere una classe energetica buona partendo da quella pessima esistente. Poiché la casa non era fornita di alcun materiale isolante, si procedette con l’installazione del cappotto termico. Tutte le solette sporgenti vennero foderate sopra e sotto con materiale isolante dello stesso spessore della muratura. Sulla muratura lo spessore dell’isolante era di 18 cm, sul tetto di 35. 

Il tetto era infatti la superficie maggiore e più esposta al calore estivo. Si doveva evitare che quest’ultimo entrasse in casa, dissipandolo il più possibile. Gli architetti di Archifor applicarono il concetto acustico del “massa-molla-massa” alla termica, su spessori notevoli. Il principio per l’isolamento acustico prevede che tra due lastre vi sia un’intercapedine contenente dell’aria in funzione di molla. Allo stesso modo, lo strato isolante del tetto dell’edificio previde cinque strati di densità diversa tra loro, per minimizzare l’effetto dell’onda termica penetrante. 

Tale operazione venne integrata alla sostituzione degli infissi interni ed esterni e alla realizzazione di due impianti di ventilazione meccanica controllata con sistema di recupero del calore, uno per ciascun appartamento interno all’abitazione. Il risultato finale fu ben vicino al raggiungimento della classe NZEB, un edificio quasi completamente passivo. 

La casa prima dei lavori
La casa prima dei lavori
La casa a lavori terminati
La casa a lavori ultimati

Quello qui raccontato fu un cantiere ricco di curiose trovate strategiche. Continua a leggere a proposito delle iniziative che vi si crearono intorno. 

© COPYRIGHT Noemi Cornalba

UNA SFIDA AI PIANI ALTI

Nei lavori a Bollengo d’Ivrea, di cui abbiamo parlato qui, la vera sfida attendeva i professionisti ai piani alti dell’edificio, nel sottotetto. Esso poggiava su un importante travata sorretta a sua volta da una grande capriata in legno antico. Per risalire alla data di creazione delle travi, solitamente, se ne studia la superficie. È infatti possibile supporre a che periodo storico appartengano grazie all’osservazione del modo in cui sono state lavorate. La trave della capriata in questione venne fatta risalire alla seconda metà del 1600, per via di alcuni segni di ascia ancora visibili. 

Purtroppo, gli architetti Silvio e Sara vi notarono un piccolo fungo. Si rese necessaria la verifica dello stato di sicurezza della trave, effettuata tramite dendrometro, uno strumento dotato di un ago sottile che penetra nel tronco degli alberi e ne misura la densità interna. Il risultato fu impressionante. Il fungo si era infiltrato nella trave mangiandone il legno e scavando al suo interno per 2 metri di profondità. Ciò significava che l’edificio non era sicuro. 

Rifare il letto era ormai impensabile: bisognava sostituire la trave. Come intuibile, si trattava di un’operazione assai delicata. Il tetto doveva essere puntellato e il peso portato a terra per un totale di tre piani. L’ingegnere strutturista di fiducia a cui si rivolse Archifor riteneva il progetto sin troppo ambizioso. Dopo aver osservato i calcoli e i disegni di Sara e Silvio però, si convinse che il tutto poteva funzionare. 

La trave fu sfilata e sostituita con un rovere di 13 metri risalente all’inizio del ‘600. Poiché si trattava del tirante della capriata (figura), l’operazione era assai delicata. Andava infatti ripristinato l’incastro esatto, legno a legno, come quello fra due grandi pettini. Ne andava però tolto e rimesso soltanto uno. Archifor si rivolse ad un falegname intarsiatore, qualcuno in grado di lavorare il grande con la tecnologia e la precisione del piccolo. 

Il giorno in cui avvenne la sostituzione, nel sottotetto erano presenti l’architetto Silvio e un muratore. La tensione era palpabile malgrado i calcoli fossero stati rispettati, ma tutto andò per il meglio e il lavoro riuscì perfettamente. 

Una volta poggiata a terra, la vecchia trave ricevette un calcio distratto da uno degli addetti ai lavori e si polverizzò quasi interamente. Aveva retto fino all’ultimo e ci piace pensare che, vista la riuscita dei lavori e il nuovo volto dell’edificio a cui apparteneva, si sentì libera di andarsene. 

Questo progetto racchiude la vera firma di Archifor: il recupero della storia calato perfettamente nell’ambiente presente.   

La capriata lignea di cui fu sostituito il tirante
La capriata lignea nel sottotetto di cui venne sostituito il tirante – la grande trave orizzontale.
Il sottotetto a lavori ultimati.
La sostituzione del tirante.
Il taglio della vecchia trave adagiata su un piano scorrevole per permetterne la sostituzione con quella nuova dal peso di due tonnellate.
Sopra, la nuova trave in rovere. Sotto, quella vecchia ormai polverizzata.

© COPYRIGHT Noemi Cornalba

LA RISTRUTTURAZIONE DEL PASSATO

Progetto e cantiere dei corridoio e della scala

A Bollengo d’Ivrea, nel 2007, venne data luce ad uno dei progetti più grandi che lo Studio Archifor abbia realizzato sino ad ora. Fu un ottimo esempio di ristrutturazione del passato.

Nel piccolo comune del Torinese si ergeva un imponente edificio dove la curia locale ospitava pensionati e anziani preti. Entrati in proprietà di un terzo della costruzione, i clienti si rivolsero ad Archifor per una ristrutturazione. Gli architetti Sara Autino e Silvio Gallina apprezzarono da subito il valore storico dell’edificio. Decisero perciò di trattarne il rifacimento come se fosse intervenuta la sopraintendenza per i beni storici e culturali. Malgrado di fatto ciò non avvenne, tutti gli interventi progettati e messi in opera si orientarono al rispetto e alla valorizzazione della forma e dell’aspetto originari della struttura. 

Il volume antico, lungo e stretto, era stato affiancato da un secondo volume, divenuto poi una cascina. Si trattava di una struttura senza particolare fascino e ormai vittima dei segni del tempo. Ecco perché si optò per il suo parziale abbattimento. Si recuperò invece la facciata principale ed esterna del primo volume, trasformata in facciata interna da lavori precedenti. Essa venne riassegnata alla sua primitiva funzione. Si trattò di un inchino alla storia dell’edificio, che ricevette così nuova gloria.

Facciata dell'edificio a Bollengo d'Ivrea
La facciata dell'edificio

Il progetto prevedeva lo sviluppo verticale e orizzontale della struttura, rispettivamente con la scala e i corridoi. Si procedette ad “appenderli” a 15 cm di distanza dalla facciata originaria grazie ad un’ingegnosa struttura in acciaio e legno.

Quanto agli interni, durante la demolizione vennero recuperati gli originali pavimenti in cotto, al tempo coperti da piastrelle più modeste. La superficie totale era di 450 mq, e poco meno di 200 furono i metri quadri di pavimenti che lo Studio Archifor riportò alla luce con gli addetti ai lavori. Ogni piastrella mantenne il proprio valore storico senza che se ne intaccasse l’aspetto. L’operazione previde la pulizia di tutte le piastrelle e il loro utilizzo al contrario. La pavimentazione si completò grazie alla creazione di mattonelle in cotto identiche a quelle originali. L’architetto Silvio ricorda il piacevole incontro con il proprietario della fornace, conosciuto personalmente e disposto ad accendere il forno con l’intera cottura ordinata da Archifor al suo interno. 

Progetto e cantiere dei corridoio e della scala
A sinistra il progetto del corridoio e della scala in vista virtuale. A destra il cantiere. Nella prima immagine si nota la distanza tra il muro della facciata e il piano inserito.
La posa dei pavimenti in cotto
La posa del pavimento in cotto.

I lavori non si conclusero qui, ma procedettero nel sottotetto dove si celava una minaccia per l’intero edificio. Continua la lettura.

© COPYRIGHT Noemi Cornalba